Dura a morire la voglia di salire oltre la fatidica quota dei 2000, per tanti anni le ho inseguite ed ora che ho smesso… ricomincio con maggior
leggerezza. A parte le battute facili, sulle montagne, su tutte le montagne è bello ritornarci e anche accompagnarci chi non le conosce, Marina
che è curiosa di posti nuovi nutre e alimenta la mia voglia di rivivere alcune vette, mettici insieme l’occasione per passare due giorni in montagna,
di mangiare e dormire in montagna ed il gioco si fa ancora più semplice.
Individuiamo il monte da raggiungere, il Godi, individuiamo facilmente dove pernottare, Villetta Barrea ed il weekend di piena natura è servito.
Due telefonate e troviamo il B&B, il pomeriggio di Sabato siamo già sul posto, prendiamo alloggio ed iniziamo a girovagare da turisti in paese;
lungo il fiume Sangro, nella bella passeggiata del lungo fiume, illuminato, dove è lieve lo scorrere dell’acqua e dove è bello, nel buio della prima
notte ritrovare il lento scorrere del tempo, nei vicoli stretti, in salita, dove molte case sono chiuse e sprangate, dove dalle finestre di altre si
intuiscono i normali gesti familiari di fine giornata, fino alla antica chiesa di San Sebastiano che ormai rudere restaurato domina il paese al buio
del tratturello che viene dalla torre antica e che abbiamo percorso nella penombra delle luminarie delle feste che sono ancora accese. E poi su e giù
senza meta tra gli sguardi curiosi dei pochi che indugiavano ancora in giro nel tardo pomeriggio. Un aperitivo nel bar centrale del paese, la cena
nella trattoria saggiamente consigliata dalla proprietaria del B&B e non rimaneva che far passare la notte.
Domenica mattina, sveglia comoda, nell’altra stanza ci attendeva la colazione, apro la finestra e … un enorme cervo poco lontano scorrazzava placido
nel giardino delle case adiacenti; sapevamo che a Villetta era facile imbattersi in questi animali, ma non fino a questo punto. Il nostro stupore
viene quasi schernito dalla padrona di casa, si tratta sicuramente di Ernesto, il cervo ormai “addomesticato” che sovente circola per il paese; sarà
pure normale per chi è di qui ma per dei cittadini come noi l’effetto è certo.
Zaini pronti, raccolte le poche cose “civili” nella sacca, siamo in macchina, direzione Passo Godi; usciamo dal parcheggio, entriamo nella strada
principale e nel mezzo a sbarrarcela c’era lui, ancora Ernesto (forse era lui), enorme, con un palco di un metro, per niente spaventato; frugo
nello zaino alla ricerca della macchina fotografica ma nel frattempo Ernesto sfila, lento e non ce la faccio a fotografarlo. Penso al fatto che mi
sono svegliato da poco, per un attimo vado in confusione, dal vicolo ne spunta un altro, se possibile ancora più grosso, dallo specchietto vedo
ancora il primo, sono due, beh, ora non è più sorpresa, ed ora non so più davvero chi sia Ernesto; si fa fotografare, ci sfila accanto incurante,
ma uffa, insomma… quasi rimpiango quell’incontro sul Marsicano di un paio d’anni fa quando un cervo come questi ci è comparso oltre un dosso e con
due balzi si era già eclissato nelle scarpate della montagna. Si lo rimpiango, perché questi due, questa sovra popolazione di cervi in paese toglie
la sorpresa, la voglia di sudare per andare a scovarli in montagna. A Scanno gli orsi, a Villetta i cervi, i lupi dove?
Passo Godi è deserto, manca completamente la neve e mancano anche i turisti; lo oltrepassiamo e parcheggiamo accanto all’ingresso “Y” del parco.
Le previsioni meteo davano per oggi sole a tutto tondo, troviamo invece nuvole grigie, per fortuna alte; la luce è buona ma non per le fotografie
che oggi so già verranno piatte e con poca profondità. Iniziamo ad inoltrarci nella larga carrareccia della valle dei Campanili ad uso della forestale
e dei pastori, Marina fila davanti come sempre, finalmente è riuscita nel suo intento di inoltrarsi nel parco da questo lato, tante volte me lo ha
chiesto e per un motivo o per un altro mai sono riuscito ad accontentarla.
Svalichiamo la piccola sella sotto la Serra del Cavallo morto e ci inoltriamo verso quella dello Ziomas, alla nostra sinistra si intuisce già il Godi,
davanti nascosta dalle prime tonde dorsali la cima del Campitello e a destra la Serra della Capra morta e la lunga valle di Capo d’Acqua fino a quella
più stretta delle Prata. L’orizzonte si apre verso Ovest, per quello che si può vedere di neve ce ne è davvero poca e comunque solo sopra i 2000 metri.
La strada fila in piano, le poche pozzanghere che incontriamo nemmeno sono ghiacciate, nel centro di alcune galleggiano improbabili iceberg in miniatura,
come possiamo pretendere che ci sia neve se alle nove di mattina l’acqua di ristagno non è nemmeno ghiacciata? Superiamo lo stazzo dello Ziomas,
iniziamo a salire leggermente di quota prima seguendo la strada-sentiero poi deviando sulla sinistra per raggiungere la sella ai piedi della cresta
Ovest del monte Godi; riflettiamo che è un po’ prestino per salirlo direttamente e che potremmo provare a raggiungere il Campitello da qui ormai a
portata di mano. La bocca è sempre più grossa dello stomaco, ci facciamo prendere e non ci pensiamo due volte, studiamo il percorso e decidiamo di
non attaccare direttamente la lunga cresta boscosa che sale direttamente dal pianoro del Ferroio di Scanno fino alla vetta del Campitello, ma di
salire sulla montagna attigua e ad Est, sulla carta solo una quota di poco più alta dei 1900mt. La salita è più docile, spiana e riparte più volte,
sembra infilarsi in una valletta fino alla sella sotto alla vetta principale, da li l’ultimo strappo con pochissima presenza di neve ci permetterebbe
di raggiungere quota 2014 agevolmente, ovviamente tutto fuori sentiero. Così facciamo, da sotto le pendici del Godi attraversiamo la dorsale sopra la
strada, verso Nord, di fatto abbiamo allungato il percorso normale e prendiamo a salire verso il Campitello; la salita è stata esattamente come
l’abbiamo letta dai piedi del Godi, tratti ripidi si alternano a tratti piani, piccoli attraversamenti di confusi boschi per uscire di nuovo in una
valletta secondaria ora scoperta di vegetazione ma piena di pietre come solo le montagne del parco sanno essere. Raggiungiamo la sella sotto al monte
del Campitello, saranno poco più di cento i metri da salire, lo facciamo zigzagando per evitare la poca neve presente, e comunque non ghiacciata, e
per attenuare il ripido versante; sulla destra sfilano tra veloci nuvole portate dal vento e anche queste veramente poco innevate, la Serra di monte
Canzoni e la Navetta che preclude la vera Serra del Campitello che da qui non possiamo ancora vedere. Arriviamo in cresta e ci colpisce un vento ora
teso che sta portando dense nuvole, nebbia si chiamerebbe se fossimo più in basso; l’omino di vetta è un paio di centinaia di metri verso Nord, lo
raggiungiamo per onor di firma proprio quando le nuvole iniziano a coprire quasi tutto; intravediamo appena la bella cresta della Serra del Campitello,
tra le nuvole sembra imponente, di certo molto è l’effetto della coltre nebbiosa che nasconde le prospettive e che libera ora un costone ora un tratto
di cresta, ma quelle montagne sono davvero belle e isolate, da mettere in calendario a primavera, quando le giornate saranno più lunghe.
Dietro il Ferroio di Scanno, leggermente a Sud della Serra del Campitello, un muro boscoso in basso e roccioso in alto, svetta a tratti tra le nuvole
scure e dense, è il Monte della Corte che tra il vedo e non vedo gioca a fare la montagna imponente.
Buio ormai tra le nuvole che ti scivolano addosso bagnate, il vento fa il resto e la sola speranza di avere qualche improbabile squarcio delle nuvole
per godere qualche dettaglio in più non basta per trattenersi ancora. Prendiamo a scendere lungo la cresta del Campitello verso il Ferroio di Scanno,
la stessa che abbiamo evitato in salita e sempre senza sentiero, tra roccette sporgenti e boschi a tratti ripidi; ci mettiamo molto presto al riparo
dal vento, ne approfittiamo per una sosta e per mangiare qualcosa. La strada sulla piana la raggiungiamo velocemente e velocemente, la percorriamo a
ritroso per un tratto e risaliamo la dorsale verso il Godi precedentemente attraversata. Iniziamo a salire verso la vetta del Godi sulla dorsale a
destra di quella principale, oltre il vallone che scende dalla sella sotto la vetta; dal basso e a tratti intuiamo una traccia di sentiero, per brevi
momenti lo intercettiamo, in altri saliamo senza; la dorsale non è molto larga le scelte si riducono a pochi e piccoli traversi per alleggerire la
pendenza. Sono duecento metri quelli da salire, nel vento e per questo fastidiosi; non raggiungiamo la cresta intorno quota 1960, ci teniamo un po’
sotto e traversiamo a sinistra puntando la tonda mole del Godi. Non facile questo tratto per le tante rocce erranti, alcuni tratti sembrano i resti
di una frana ma la cresta è li sopra, da dove possono venire tante pietre? Lo passiamo comunque anche spinti dalla fretta che ci impone un fronte
nuvoloso che sembra correrci dietro esattamente alla nostra altezza, raggiungiamo la cresta, alcuni tratti sono innevati, poi scendiamo diverse
decine di metri dentro la valletta ai piedi del Godi. Siamo così impazienti di arrivare la sopra e di toglierci dal vento il prima possibile che
rinunciamo a traversare da un lato o dall’altro, prendiamo in verticale gli ultimi cento metri fino alla bandierina di vetta, cambiando frequentemente
le linee di salita per faticare meno e per fortuna anche spinti dal vento che se anche freddo ci spinge alle spalle.
Una sottile cornice di neve sporge dalla cresta poco prima della bandierina metallica posta sull’omino di vetta, ci arriviamo insieme ad un fitto banco
di nubi; oggi non è giornata, è segno che non ci possiamo godere i panorami dai punti più alti che abbiamo toccato.
Il modo di farci alcune foto lo troviamo, siamo certi che saranno buie e piatte ma del resto siamo anche certi che non torneremo presto, quindi le
foto ricordo sono d’obbligo; è in buonissimo stato la targa commemorativa del Club2000 posta lo scorso anno in occasione del raduno annuale.
Fa freddo, Marina non la tengo per nemmeno un altro secondo, chiede la direzione e parte spedita per la cresta verso Est. Superiamo le varie tonde
vette secondarie di questa montagna che formano un ampio semicerchio verso Nord-Est, dai 1997 metri dell’ultima cominciamo a staccarci dalla cresta
principale, ci buttiamo un po’ verso sinistra, verso il vallone che scende e traversiamo quasi paralleli alla cresta stessa fino ad entrare nel bosco;
il pendio si fa più ripido ma anche molto più innevato, veniamo per questo facilitati non poco nella discesa, scendiamo veloci fino ad entrare in un
fosso ampio. La neve abbassandoci si va assottigliando e nel giro di duecento metri sparisce; non arriviamo in fondo al fosso, prendiamo a tagliare
verso Est, continuiamo a tagliare convinti che in questa maniera accorceremo il percorso rimasto. Una prima dorsale da superare ormai fuori dal bosco
ci illude di essere in prossimità della strada percorsa all’inizio; la vediamo dall’alto, ormai è solo questione di scendere, più tagliamo il pendio
verso Est meno strada ci sarà da percorrere fino alla macchina. Eravamo nel giusto, lunghi pratoni ci portano fino alla sella sopra la valle dei Campanili.
Gli ultimi dieci minuti sono sulla strada percorsa all’andata, a valle il vento ha smesso di frustarci, sentiamo la fame affiorare; solo il tempo di
cambiarci e mettere qualche indumento asciutto e di fronte al caldo ceppo del camino del rifugio-ristorante Scoiattolo di passo Godi troviamo il modo
di placarla.